mercoledì 12 agosto 2009

PELO E CONTROPELO SULLE CENTRALI A OLIO DI PALMA


Per chi pensa che il problema delle centrali elettriche a olio di palma sia solo nostro, che tanto lo hanno deciso "loro" e noi non si può fare niente. Beh c'è chi tira fuori le "pallx" e si rimbocca le maniche senza farsi abbindolare, ecco quello che ha fatto un comitato serio il "NO VELENI" !!ABRICA DI ROMA- “L’affare è particolarmente lucroso, si tratterebbe di bruciare essenzialmente olio di palma… avete capito bene, la palma che cresce ai tropici. Da lì porterebbero l’olio fino a Fabrica per bruciarlo… come se noi facessimo una centrale vicino Rio de Janeiro per alimentarla a cocce de nocchia”. Con queste parole, scritte in un volantino distribuito alla popolazione di Fabrica di Roma, il comitato NO VELENI commenta l’idea venuta al Sindaco Palmegiani di costruire nel territorio fabrichese una centrale termoelettrica a biomasse da qualche Mw. L’area destinata a quest’impianto è stata individuata in località Quartaccio-Cenciano, ben distante dal nucleo abitativo di Fabrica e particolarmente vicina alla zona industriale di Corchiano e alle prime case di Civita Castellana. Il comitato NO VELENI dopo aver informato la popolazione è già sul piede di guerra ed ha invitato il primo cittadino a esprimersi in merito alla reale possibilità della realizzazione del mini-impianto a biomasse. La conferenza dei servizi che si è svolta in Provincia il 21 luglio, ha, infatti, sciolto ogni dubbio. Il progetto è reale. Il Sindaco di Fabrica, nella riunione di palazzo Gentili, ne ha parlato in maniera entusiasta, supportato anche da alcuni pareri tecnici. Alla riunione erano presenti anche il sindaco di Corchiano, l’Ass. all’Ambiente di Civita Castellana, Corazza e un dirigente regionale dei Beni paesaggistici. Il progetto, osteggiato dal comitato NO VELENI, (che a 48 ore dalla sua costituzione contava già 200 aderenti, ndr) ha già messo in preavviso anche i cittadini di Corchiano e Civita Castellana. Durante un primo incontro alcuni esponenti del comitato hanno espresso dubbi e ostilità al progetto che dovrebbe sorgere, tra l’altro, nella zona dove si trova un’efficace e funzionale struttura di ricettività alberghiera. L’idea di realizzare centrali a biomasse non è originale. Analoghi progetti, alimentati a residui vegetali, erano già stati presentati a Tuscania e Barbarano, tanto per citare qualche comune della nostra provincia. In Italia, stando ad alcune statistiche in merito, esistono 27 centrali a biomasse, per una produzione complessiva di energia elettrica di 257.2 MW. In molti comuni italiani sono stati presentati progetti del genere; ma la ferma opposizione di comitati spontanei, associazioni ambientaliste e politiche ne ha limitato l’espansione. La presenza d’impianti a biomasse è concentrata soprattutto nel Nord, dove esistono 17 impianti. Sedi regionali e autorevoli esponenti dei Verdi hanno bollato questo progetto come “scelta non sostenibile, né localmente, né globalmente. Greenpeace e Friens of the Earth, addirittura osteggiano l’idea di energia a olio di palma. La possibilità di utilizzare le biomasse per produrre energia non è pregiudizialmente errata, secondo molti esperti. Il problema non è il disgustoso odore di patatine fritte che la combustione produce, ma bensì il metodo e gli effetti dannosi per l’intero ecosistema. Se adesso costruire una centrale a olio di palma è conveniente per ottenere contributi da parte dello stato (certificati verdi, pagati circa 110 Euro per ogni Mw prodotto e ceduto all’Enel) l’altro fattore di convenienza è il bassissimo costo di manodopera per produrre l’olio di palma. L’olio è prodotto da paesi dell’estremo oriente, dal sud dell’America ed anche in alcuni paesi africani. A parte i rischi di sfruttamento di manodopera, una centrale considerata “verde” nel vecchio continente significa che in un’altra parte del mondo sono deforestati importanti ecosistemi per convertire i terreni in coltivazioni di olio di palma. Dopo l’abbattimento degli alberi, i terreni sono incendiati. Per tale ragione, in Indonesia e Papua Nuova Guinea si hanno conseguenze devastanti e ingenti danni ambientali a causa del notevole rilascio di biossido di carbonio nell’atmosfera. L’Indonesia, a causa di questa deforestazione è al quarto posto nella poco nobile graduatoria dei maggiori paesi per emissioni di gas effetto serra. Molte associazioni ritengono accettabile, per impianti a biomasse la cosiddetta “filiera corta”, che significa produrre energia elettrica utilizzando elementi organici vegetali ottenuti dalla raccolta e lavorazione delle colture e delle foreste locali (potature di alberi e foreste, paglia e residui della lavorazione del legno, che offrono un’opportunità di riciclo). Altra cosa, evidentemente, è sostenere un progetto che prevede di stipare una nave cisterna carica di olio di palma in Indonesia e, consumando tonnellate di nafta, arriva, dopo un lungo viaggio, nel vecchio continente. Da dove, necessariamente, deve essere ricaricata su camion per un successivo viaggio sino alle centrali a biomasse. Può essere considerato “verde” un tragitto del genere? Se i paesi industrializzati e i summit dei potenti del mondo, con il Protocollo di Kyoto cercano di dare risposte globalizzate, può esser utile risolvere in Italia le emissioni di gas effetto serra con le centrali a olio di palma, fregandosene di distruggere le foreste e gli ecosistemi di un altro continente?
Articlo tratto da Civita Castellana e scritto da Raniero Pedica

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