giovedì 5 novembre 2009

Vorrei sapere cos'è il biodiesel e che vantaggi/svantaggi ha rispetto al gasolio normale.

Questo articolo è tratto dal sito ufficiale dell' Eni nella sezione F.A.Q. lascio a voi le evidenti conclusioni:

Il biodiesel è un combustibile di origine vegetale, ottenuto da vari tipi di olio di semi (es. girasole, colza, soia) a seguito di un processo detto di "trans-esterificazione", che rende il biodiesel molto simile al gasolio di origine minerale.
La seconda domanda è più complessa e richiederebbe una risposta alquanto articolata (al riguardo si tengono convegni e si scrivono libri).
In estrema sintesi, si può dire che l'utilizzo del biodiesel, da solo o in miscela con gasolio, complessivamente non comporta variazioni di rilievo, né dal
. unto di vista delle emissioni di inquinanti, né da quello dei consumi.
Il punto a favore del biodiesel è costituito dal fatto che, essendo un combustibile di origine vegetale, rappresenta una forma di energia "rinnovabile", al contrario dei combustibili fossili, e quindi nel suo ciclo vitale dà luogo a minori emissioni di CO2.
Il punto a sfavore è rappresentato dal suo costo di produzione (si tenga presente che, per renderlo concorrenziale con il gasolio, lo Stato deve rinunciare completamente all'accisa, pari a 0,40 Euro al litro, che invece grava sul gasolio minerale).
Inoltre la sua disponibilità è piuttosto limitata: basti pensare che se tutti i terreni disponibili in Europa (cioè quelli attualmente incolti) venissero dedicati alla coltivazione di materie prime per il biodiesel, non si riuscirebbe a coprire nemmeno il 5% del consumo di gasolio per autotrazione.
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Articolo tratto da Eni.it

venerdì 30 ottobre 2009

Bio masse e agro carburanti basta un video per ingannarci?

Basteranno immagini ad effetto e musiche incalzanti per convincerci?
Ma che siamo tutti co...i? Beh spetta a voi scoprirlo intanto le ditte come la Cereal Docks con il benestare della regione Veneto e dei comuni si fa gli "affaracci" suoi, vi consiglio di vedere questo video di presentazione ufficiale della Cereal Docks.
In questo filmato possiamo vedere come ci venga propinata l'attività della sopra nominata come soluzione al male futuro dell'inquinamento, ma sarà vero? Tutte queste materie prime che potrebbero essere cibo come vengono impegnate? Soprattutto che giro del mondo (inquinando) fanno prima di venire bruciate nelle loro centrali costruite sul giardino di casa nostra?


Oltre a questi "problemucci" ci si deve anche porre l'incognita degli OGM, i prodotti importati dal resto del mondo non hanno gli stessi controlli e regole applicate in Italia,
voi vi sentite tranquilli?
Sarà sufficiente fidarsi dell'onestà dei registi, attori e protagonisti di questo "Bio thriller" ?
O dovremmo aspettarci un finale che porterà scontate conseguenze?

Mentre VOI state a guardare "loro" guadagnano e Voi vi intossicate.
Rimanere spettatori per vedere come andrà a finire potrebbe non essere salutare....

domenica 25 ottobre 2009

Nano-particelle e patologie respiratorie

Stefano Montanari racconta come e perchè il microscopio elettronico che fu acquistato nel 2007 con i fondi di una raccolta popolare iniziata l’anno prima gli sarà tolto.
La motivazione della raccolta appoggiata da Beppe Grillo fu quella di dotare gli scienziati Antonietta Gatti e Stefano Montanari di un microscopio elettronico in sostituzione di quello la cui disponibilità era stata loro tolta. Ora, a distaza di qualche anno, la ragione della raccolta risulta stravolta.


Nanoparticelle farmacologiche danneggiano il polmone
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Frammenti di un filtro chirurgico comunemente installato nella vena cava dei malati di tromboembolia polmonare, vengono estratti dal corpo di un paziente dopo un’accidentale rottura dello strumento. Un’analisi accurata di quei
frammenti rivela la presenza di materiali che non appartengono né al filtro né all’organismo umano.

L’indifferenza della comunità accademica di fronte a questa scoperta si trasforma in disagio e talvolta in vero e proprio boicottaggio quando gli studi condotti dall’autore continuano a confermare un preoccupante risultato: il nostro corpo assorbe, dall’aria che respiriamo così come dai cibi che ingeriamo, diverse tipologie di elementi, minuscole polveri che, riconosciute come estranee dal corpo, provocano reazioni infiammatorie importanti, talvolta origine di gravi patologie.

Nasce da queste prime indagini un ostinato percorso di ricerca per dare finalmente risposta a un quesito scientifico fino a oggi pericolosamente ignorato o osteggiato. Qual è l’origine delle micropolveri? Come agiscono quando
vengono assorbite dal nostro corpo? Quali patologie apparentemente estranee a questo fenomeno possono finalmente trovare una spiegazione?

L’Associazione dei Medici Per l’Ambiente (ISDE Italia) è fortemente preoccupata in merito all’ incremento dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani (RSU) tramite incenerimento, che si sta proponendo nel nostro paese, sia con la costruzione di nuovi impianti, sia con l’ ampliamento di quelli esistenti.

Lo smaltimento dei rifiuti esige, innanzi tutto, una seria politica delle “R” come Razionalizzazione, Riduzione della produzione, Raccolta differenziata, Riciclaggio, Riuso, Riparazione, Recupero.

Solo dopo aver attuato tutti i punti precedenti, si potrà eventualmente valutare correttamente la migliore tecnica impiantistica per lo smaltimento della frazione residua scelta tra i sistemi che garantiscono meglio salute umana ed ambiente (pensare al trattamento con recupero energetico dell’’esigua frazione residua). Solo con questa politica, oltre a ridurre i costi economici, si possono ottenere impatti ambientali e sanitari inferiori a quelli prodotti dagli inceneritori e dalle discariche.

L’ incenerimento degli RSU è, fra tutte le tecnologie, la meno rispettosa dell’ ambiente e della salute. E’ inevitabile la produzione di ceneri (che rappresentano circa 1/3 in peso dei rifiuti in ingresso e devono essere smaltite in discariche speciali) e l’immissione sistematica e continua nell’atmosfera (di milioni di m3) di fumi, polveri grossolane (PM10) e fini (PM2.5 , ovvero con diametri inferiori a 2.5 micron) costituite da nanoparticelle di sostanze chimiche (metalli pesanti, idrocarburi policiclici, policlorobifenili, benzene, diossine e furani, ecc.) estremamente pericolose, perché persistenti ed accumulabili negli organismi viventi.

La combustione trasforma infatti anche i rifiuti relativamente innocui quali imballaggi e scarti di cibo in composti tossici e pericolosi sotto forma di emissioni gassose, polveri fini, ceneri volatili e ceneri residue che richiedono costosi sistemi per la neutralizzazione e lo stoccaggio.

Per noi, Medici per l’Ambiente, è prioritario pensare agli effetti sugli esseri umani più fragili, perché già malati, o più suscettibili come bambini, donne in gravidanza, anziani. Il rischio non è solo riferibile ad una maggiore incidenza di tumori (già segnalata), ma anche ad altre problematiche quali: incremento dei ricoveri e della mortalità per cause respiratorie e cardiocircolatorie, alterazioni endocrine, immunitarie e neurologiche.

Si ribadisce che in problematiche così importanti e complesse devono sempre essere privilegiate le scelte che si ispirano al principio di “precauzione”, alla tutela e salvaguardia dell’ambiente, consci che la nostra salute e quella delle future generazioni è ad esso indissolubilmente legata come le drammatiche esperienze su amianto, benzene, piombo e polveri fini dovrebbero averci insegnato).

L’Associazione Medici per l’Ambiente chiede che:

1. Venga istituita immediatamente una moratoria sui progetti di termodistruzione (o termovalorizzazione) in corso;
2. Venga incentivata economicamente la politica delle “R”;
3. A cura delle Autorità competenti, vi sia una efficiente ed efficace azione di verifica e controllo, in continuo, dei possibili inquinanti (al camino, aria, terra e falde acquifere) per gli impianti già in funzione e che questi controlli siano simultaneamente affiancate da rigorosi monitoraggi sanitari delle popolazioni già potenzialmente esposte;
4. Siano istituzionalizzati i Garanti delle popolazioni che dovranno conoscere in tempo reale i risultati delle campagne ambientali, sanitarie e l’andamento delle misurazioni di tutte le possibili emissioni causate dal sistema di smaltimento operante, al fine di proporre tempestive soluzioni.

TUTTI GLI UOMINI SONO RESPONSABILI DELL’ AMBIENTE,
I MEDICI LO SONO DOPPIAMENTE!

Associazione Medici per l’Ambiente – ISDE Italia (www.isde.it) affiliato a: International Society of Doctors for the Environment

Articolo tratto dal sito Bacheca di vita termolese

martedì 20 ottobre 2009

Il biodiesel europeo fa disastri in Indonesia


Un motivo in più per valutare la "soluzione" delle centrali a biomasse.

Il "carburante verde" mette a rischio le foreste pluviali indonesiane e può portare all'estinzione dell'orango. Un nuovo rapporto diffuso dal Friends of the Earth mette in luce le conseguenze della legge europea sul biodiesel. La legge, volta a promuovere alternative rinnovabili al petrolio e ai suoi derivati, sta provocando una massiccia espansione delle piantagioni di palma da olio in Indonesia, ai danni delle foreste torbiere. Il rapporto illustra gli effetti del boom dell'olio di palma nella regione di Ketapang, nell'isola del Borneo, dove l'espansione delle piantagioni si accompagna alla deforestazione illegale e a diffuse violazioni dei diritti umani Situato nella provincia del Kalimantan occidentale, nella parte indonesiana del Borneo, il Ketapang è teatro di una nuova ondata di deforestazione.
- Nel corso degli ultimi tre anni, il governo ha rilasciato licenze per la conversione in piantagione di palma da olio sul 40 per cento dell'intero territorio, 1,4 milioni di ettari, senza curarsi delle leggi e delle aree protette;
- 39 licenze su 54 includono foreste protette: ben 40.000 ettari, tra cui i parchi nazionali creati per la protezione dell'orango;
- i diritti delle comunità locali sono sistematicamente violati. Nel 2008 sono stati registrati venti conflitti legati alla proprietà della terra, ma questo numero è destinato ad aumentare assieme all'avanzata dei bulldozer.
- il 43 per cento della terra è in mano a imprese che pretendono di produrre olio di palma sostenibile, in quanto fanno parte del Roundtable for Sustainable Palm Oil (RSPO), il discusso standard ambientale per la certificazione dell'olio di palma. Le imprese che fanno parte del RSPO non mostrano sostanziali differenze: gli abusi verso l'ambiente e le comunità locali sono gli stessi ;

"La crescita della domanda di olio di palma sui mercati internazionali sta conducendo alla deforestazione illegale e a gravi conflitti sociali - commenta Geert Ritsema, di Friends of the Earth - Di questo passo le foreste del Borneo saranno cancellate dalla faccia della terra, assieme alle specie animali che vi abitano, e saranno rilasciate quantità immense di gas serra".
L'olio di palma, impiegato nella produzione di biodiesel per il trasporto e la produzione di energia elettrica, gode degli incentivi dell'Unione Europea ai biocarburanti.
Il rapporto di Friends of the Earth:
http://www.salvaleforeste.it/View-document/599-Failing-governance-Avoiding-responsibilities.html?format=raw&tmpl=component


Articolo tratto dal sito Salva le Foreste.it

giovedì 15 ottobre 2009

"Danno alla salute", La Tua...


"Danno alla salute", La Tua Fano contro la centrale di Schieppe
23/09/09 Fano (Pesaro Urbino) - “Un danno alla salute ed alla serenità dei cittadini”. La segreteria de La Tua Fano, in una nota, definisce così la realizzazione della centrale a biomasse di Schieppe. Un impianto che continua a far discutere e a richiamare l’attenzione di cittadini e politici.

Si è infatti svolta, il 12 settembre scorso, nella sala consiliare di Orciano, l’ultima delle tante assemblee pubbliche relative alla centrale termoelettrica a biomasse da costruirsi nel territorio di Schieppe. All’incontro erano presenti anche i rappresentanti della lista civica La Tua Fano. “La realizzazione dell’impianto - si legge in una nota pubblicata dalla segreteria del partito - la cui pratica è stata bloccata per cinque anni grazie alla tenacia dei comitati, di varie amministrazioni municipali, tra cui Fano, e svariati ricorsi al TAR, è stata nuovamente autorizzata dal Direttore del Dipartimento Territorio-Ambiente della Regione Marche tramite il decreto n. 24 di poche settimane fa. La lista Civica La Tua Fano, che ha partecipato come sempre all’incontro, continuerà ad impegnarsi affinché il provvedimento sia revocato in quanto è profondamente contraria all’impianto, per ragioni tanto semplici quanto evidenti: l’impatto ambientale, i possibili danni alla agricoltura di qualità, al turismo rurale ed enogastronomico che si sta promuovendo, alla salute della popolazione abitante in aree limitrofe e, non da ultimo, alle ripercussioni economiche per l’intera valle del Metauro. Analoghe considerazioni sono state espresse e condivise pure da parlamentari nazionali e da esponenti politici provinciali dell’IDV, appartenenti comunque alla stessa maggioranza che sostiene anche il governo della regione, che ci auguriamo mantengano le loro posizioni a riguardo e, soprattutto, non incorrano in fugaci vuoti di memoria superate le elezioni Regionali di marzo 2010”.

“Notiamo con piacere queste prese di posizione e l’impegno a portare fino in Parlamento tale problema - Ci permettiamo tuttavia di nella semplicità del nostro agire di lista civica, una soluzione più immediata ed efficace: intervenire politicamente con atti concreti e non proclami sull’attuale amministrazione regionale (come detto amica) per cancellare definitivamente questo osteggiato provvedimento, da essa fortemente voluto.

La Tua Fano, insieme al coordinamento dei comitati di difesa delle Valli del Metauro e al Sindaco di Fano Stefano Aguzzi, che ha sempre sostenuto tale battaglia anche in tempi non sospetti, nel ribadire l’assoluta contrarietà riguardo a tale centrale, vigilerà attenta anche sul lavoro degli amministratori pubblici che in questi anni hanno negato quella corretta informazione, trascinando fino ad oggi, con approssimazione ed incuria, una questione che rischia di essere un danno alla salute ed alla serenità dei cittadini”.

Redazione Fanoinforma

Articolo tratto da " Fano informa"

sabato 10 ottobre 2009

NANOPARTICELLE




Quindi l’attività di un inceneritore (http://it.youtube.com/watch?v=jWXnHMgEUR8 ) produce delle sostanze - polveri sottili e nano-particelle - di microscopiche dimensioni che s’insinuano nell’organismo umano attraverso l’apparato respiratorio ed anche attraverso l’apparato digerente, dato che le particelle si depositano anche sulle coltivazioni prossime agli impianti.

Qualsiasi sorgente ad alta temperatura provoca la formazione di particolato; più elevata è la temperatura, minore è la dimensione delle particelle prodotte; più la particella è piccola, più questa è capace di penetrare nei tessuti; ed inoltre non esistono meccanismi biologici o artificiali capaci di eliminare il particolato una volta che questo sia stato importato da un organo o da un tessuto: insomma le particelle durano per sempre.

Il corpo, non riconoscendo le nano-particelle, le isola come corpi estranei e questo, nel corso del tempo, può generare un gravissimo processo infiammatorio. In questi casi si parla di nano-patologie.
Sensibile a queste tematiche che riguardano la salute di tutti, Primafilm, distretto creativo e tecnologico indipendente, presenta una nuova grande sfida: un viaggio nel mondo delle polveri sottili, delle nano-particelle e delle possibili alternative, attraverso un film-documentario, Sporchi da Morire ( http://www.sporchidamorire.com).

Articolo tratto dal sito "Sporchi da Morire"

sabato 26 settembre 2009

STOP ALLA CENTRALE A BIOMASSE


Con questo titolo si apre un articolo che ho trovato nel sito " Il Ponente", un evidente segno delle problematiche che stanno portando queste "opere" che si vantano di essere bio...

La Confederazione Cobas di Savona annuncia la sua adesione all’iniziativa del 2 ottobre per fermare la cosiddetta centrale a biomasse nell’ex-Ferrania, che non porterebbe posti di lavoro, anzi ne fermerebbe il recupero, andando non oltre i 20 posti, secondo le stesse dichiarazioni di Ferrania.
Ma il punto resta l’impatto ambientale, periziato dall’Ordine dei Medici nel 2007 con un’emissione di polveri sottili cancerogene ben 18 volte superiori a quanto ipotizzato
nel progetto e un inquinamento pari a quello del traffico urbano dell’intera città di Savona!
Sono tante, in queste ore, le adesioni all’iniziativa da tutta la Liguria e dal Piemonte.
Abbiamo fermato la centrale a carbone, fermeremo la centrale a biomasse, consapevoli che tutte le centrali a biomasse in Italia sono finite poi con il bruciare il CDR!
Chiediamo l’adesione dei medici, degli scienziati, dei docenti universitari per denunciare questo ennesimo progetto da parte del partito degli affari, che non porta occupazione ma inquinamento e nuove malattie, di cui la Valbormida non ha bisogno.
Confederazione Cobas Savona

Articolo tratto da "il ponente" la voce di Savona e provincia

lunedì 14 settembre 2009

...Non c'e' due senza tre e la quarta puo' toccare proprio a te!!!

Sembra che queste centrali elettriche a biomasse non si riescano a fermare, nascono come funghi!

Sappiamo che energeticamente non convengono, sappiamo che inquinano esageratamente, ma perché le fanno? Sappiamo anche questo! Grazie alla legge sulle energie rinnovabili ed assimilate ci sono una montagna di miliardi di euro che aspettano di essere spartiti dai soliti furbetti e c'è chi a ogni costo (non il suo ovviamente) non vuole proprio farsi scappare l'occasione.

I mie complimenti a sua eminenza ma che dico sua maestà, no meglio al "Marchese" Galan e a tutti i suoi sindaci, "subalterni" che per ovvi motivi non posso descrivere, come vorrei.

Qualcuno potrebbe rinfacciarmi il fatto di non essere politicamente corretto e che gli epiteti in questo caso li usano solo gli sciocchi, forse è vero, ma lascio a voi decidere ...io ve lo concedo!

Dopo aver letto il documento "Deliberazioni della Giunta Regionale N. 394 del 24 febbraio 2009" messo in evidenza come il solito da quel segugio di Gianfranco Battiston mi sono ricordato di un film con Sordi "Il Marchese del Grillo" e di quello spezzone che alla fine chiaramente descrive quello che siamo per "loro":
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Per l'interesse economico di pochi "amici" del "Marchese" tutti noi ne facciamo le spese!
Una centrale a Summaga, una centrale a Fossalta e una a Lugugnana
e tutte con il benestare dei rispettivi sindaci e consiglieri.

Ha ha ha che risate... a qualcuno potrebbe sorgere il dubbio di non aver votato per bene... Ma basta davvero aver esercitato il diritto di voto per avere la coscienza apposto?

In un futuro non remoto quando i vostri campi saranno contaminati, le vostre case vicino alle centrali a biomassa non varranno più nulla saprete chi ringraziare, quando ci saranno i primi ammalati di tumore per le nanoparticelle saprete di chi e' la responsabilità.

Forse un giorno qualcuno potrà chiedere a questi individui conto delle loro azioni ma loro dalle loro "carrozze" vi risponderanno come il Marchese del Grillo.

Non aspettiamo il peggio, muoviamoci ora!!!

Volete fare qualcosa ma non sapete cosa? Scriveteci!! info@caveneto.org

Rimanere completamente inerti vi rende complici responsabili!



giovedì 10 settembre 2009

No alla centrale anche su Facebbok



Anche noi sfruttiamo il fenomeno mediatico di Facebook, ci auguriamo che possa contribuire all'informazione di ciò che stà accadendo con la realizzazione della centrale a biomasse nella frazione di Portogruaro, non possiamo permetterci che qualcuno possa poi giustificarsi con un "non lo sapevo".
Dal Gruppo no Centrale:

Ma le centrali elettriche a biomasse sono davvero tutte buone perchè "Bio"?
Purtroppo NO, sfortunatamente con forti interessi economici in ballo, chi ha interesse a farlo offre una rappresentazione parziale dei fatti, mostrando alcuni aspetti e trascurandone altri, e come spesso accade gli aspetti trascurati spesso sono quelli di maggiore importanza.
Non viene quasi mai esposto che per alimentare queste centrali a biomasse dovrebbe essere messo a coltivazione un'area di gran lunga maggiore del territorio disponibile con la conseguente necessità di importare materia prima dall'estero come i paesi dell'est e dall'estremo oriente con l'inquinamento derivato dalla lavorazione e dalle fasi di trasporto oltre che dai concimi chimici e dai pesticidi che ci verranno recapitati direttamente con la consegna.
Chiaro è che non c'è territorio sufficente per lecoltivazioni necessarie alla produzione e quindi come è già successo si potranno bruciare anche i famosi CDR (combustibile da rifiuti) con buona pace della salute dei cittadini.
Ogni combustione produce inquinanti non possiamo quindi illuderci che i vegetali non lo facciano.
No alla centrale a olii combustibili di Summaga di Portogruaro non è la soluzione ai problemi energetici ma è solo un modo per sfruttare i finanziamenti disponibili e i fondi derivanti dal CIP6, che però paghiamo noi con le nostre tasse e nelle bollette dell'ENEL. Fondi che invece di esse investiti per le fonti rinnovabili pulite vanno in tasca a imprenditori senza scrupoli per bruciare inutilmente materiale con gravi conseguenze su l territorio e la popolazione.

"...Questo significa che se il Cip6, che noi paghiamo nelle nostre bollette Enel, andasse alle fonti veramente rinnovabili in Italia ci sarebbe convenienza ad andare sul solare, non sugli inceneritori!" e sulle nuove centrali a biomasse,
"...come hanno dimostrato gli studi del dottor Stefano Montanari e della dottoressa Antonietta Gatti, producono pericolosissime nanoparticelle inorganiche (Pm 2,5 fino a Pm 0,01) che penetrano nel sangue e da lì si depositano negli organi del corpo umano e sono causa di gravi malattie, tra queste il cancro. Sono le cosiddettenanopatologie.

Queste nanopolveri si creano tramite le altissime temperature che si generano. Una storia già vista anche presso la centrale Enel ad olio combustibile di Porto Tolle (dove Tatò,Scaroni ed Enel sono stati condannati a risarcire tre milioni di euro), tra i reduci della Guerra del Kossovo e in Irak (la cosidetta "Sindrome del Golfo" causata dai proiettili ad uranio impoverito o al tungsteno), nel crollo delle Torri Gemelle a New York e nelle zone industriali. Anche alcuni Filtri Antiparticolato sono fortemente sospettati di produrre le pericolose nanoparticelle."

Per tutto questo ma soprattutto per il nostro futuro e la nostra salute diciamo NO alle nuove centrali a biomasse, no alla centrale Cereal Docks di Summaga di Portogruaro (VE)!

mercoledì 12 agosto 2009

PELO E CONTROPELO SULLE CENTRALI A OLIO DI PALMA


Per chi pensa che il problema delle centrali elettriche a olio di palma sia solo nostro, che tanto lo hanno deciso "loro" e noi non si può fare niente. Beh c'è chi tira fuori le "pallx" e si rimbocca le maniche senza farsi abbindolare, ecco quello che ha fatto un comitato serio il "NO VELENI" !!ABRICA DI ROMA- “L’affare è particolarmente lucroso, si tratterebbe di bruciare essenzialmente olio di palma… avete capito bene, la palma che cresce ai tropici. Da lì porterebbero l’olio fino a Fabrica per bruciarlo… come se noi facessimo una centrale vicino Rio de Janeiro per alimentarla a cocce de nocchia”. Con queste parole, scritte in un volantino distribuito alla popolazione di Fabrica di Roma, il comitato NO VELENI commenta l’idea venuta al Sindaco Palmegiani di costruire nel territorio fabrichese una centrale termoelettrica a biomasse da qualche Mw. L’area destinata a quest’impianto è stata individuata in località Quartaccio-Cenciano, ben distante dal nucleo abitativo di Fabrica e particolarmente vicina alla zona industriale di Corchiano e alle prime case di Civita Castellana. Il comitato NO VELENI dopo aver informato la popolazione è già sul piede di guerra ed ha invitato il primo cittadino a esprimersi in merito alla reale possibilità della realizzazione del mini-impianto a biomasse. La conferenza dei servizi che si è svolta in Provincia il 21 luglio, ha, infatti, sciolto ogni dubbio. Il progetto è reale. Il Sindaco di Fabrica, nella riunione di palazzo Gentili, ne ha parlato in maniera entusiasta, supportato anche da alcuni pareri tecnici. Alla riunione erano presenti anche il sindaco di Corchiano, l’Ass. all’Ambiente di Civita Castellana, Corazza e un dirigente regionale dei Beni paesaggistici. Il progetto, osteggiato dal comitato NO VELENI, (che a 48 ore dalla sua costituzione contava già 200 aderenti, ndr) ha già messo in preavviso anche i cittadini di Corchiano e Civita Castellana. Durante un primo incontro alcuni esponenti del comitato hanno espresso dubbi e ostilità al progetto che dovrebbe sorgere, tra l’altro, nella zona dove si trova un’efficace e funzionale struttura di ricettività alberghiera. L’idea di realizzare centrali a biomasse non è originale. Analoghi progetti, alimentati a residui vegetali, erano già stati presentati a Tuscania e Barbarano, tanto per citare qualche comune della nostra provincia. In Italia, stando ad alcune statistiche in merito, esistono 27 centrali a biomasse, per una produzione complessiva di energia elettrica di 257.2 MW. In molti comuni italiani sono stati presentati progetti del genere; ma la ferma opposizione di comitati spontanei, associazioni ambientaliste e politiche ne ha limitato l’espansione. La presenza d’impianti a biomasse è concentrata soprattutto nel Nord, dove esistono 17 impianti. Sedi regionali e autorevoli esponenti dei Verdi hanno bollato questo progetto come “scelta non sostenibile, né localmente, né globalmente. Greenpeace e Friens of the Earth, addirittura osteggiano l’idea di energia a olio di palma. La possibilità di utilizzare le biomasse per produrre energia non è pregiudizialmente errata, secondo molti esperti. Il problema non è il disgustoso odore di patatine fritte che la combustione produce, ma bensì il metodo e gli effetti dannosi per l’intero ecosistema. Se adesso costruire una centrale a olio di palma è conveniente per ottenere contributi da parte dello stato (certificati verdi, pagati circa 110 Euro per ogni Mw prodotto e ceduto all’Enel) l’altro fattore di convenienza è il bassissimo costo di manodopera per produrre l’olio di palma. L’olio è prodotto da paesi dell’estremo oriente, dal sud dell’America ed anche in alcuni paesi africani. A parte i rischi di sfruttamento di manodopera, una centrale considerata “verde” nel vecchio continente significa che in un’altra parte del mondo sono deforestati importanti ecosistemi per convertire i terreni in coltivazioni di olio di palma. Dopo l’abbattimento degli alberi, i terreni sono incendiati. Per tale ragione, in Indonesia e Papua Nuova Guinea si hanno conseguenze devastanti e ingenti danni ambientali a causa del notevole rilascio di biossido di carbonio nell’atmosfera. L’Indonesia, a causa di questa deforestazione è al quarto posto nella poco nobile graduatoria dei maggiori paesi per emissioni di gas effetto serra. Molte associazioni ritengono accettabile, per impianti a biomasse la cosiddetta “filiera corta”, che significa produrre energia elettrica utilizzando elementi organici vegetali ottenuti dalla raccolta e lavorazione delle colture e delle foreste locali (potature di alberi e foreste, paglia e residui della lavorazione del legno, che offrono un’opportunità di riciclo). Altra cosa, evidentemente, è sostenere un progetto che prevede di stipare una nave cisterna carica di olio di palma in Indonesia e, consumando tonnellate di nafta, arriva, dopo un lungo viaggio, nel vecchio continente. Da dove, necessariamente, deve essere ricaricata su camion per un successivo viaggio sino alle centrali a biomasse. Può essere considerato “verde” un tragitto del genere? Se i paesi industrializzati e i summit dei potenti del mondo, con il Protocollo di Kyoto cercano di dare risposte globalizzate, può esser utile risolvere in Italia le emissioni di gas effetto serra con le centrali a olio di palma, fregandosene di distruggere le foreste e gli ecosistemi di un altro continente?
Articlo tratto da Civita Castellana e scritto da Raniero Pedica

domenica 26 luglio 2009

Che cosa è il CERTIFICATO VERDE e come può essere raggirato

Certificato verde

Il Famoso incentivo all'inquinamento, ma solo in Italia...

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Un certificato verde è una forma di incentivazione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Si tratta in pratica di titoli negoziabili, il cui utilizzo è diffuso in molti stati come ad esempio nei Paesi Bassi, Svezia, UK e alcuni stati USA.

Si tratta di certificati che corrispondono ad una certa quantità di emissioni di CO2: se un impianto produce energia emettendo meno CO2 di quanto avrebbe fatto un impianto alimentato con fonti fossili (petrolio, gas naturale, carbone ecc.) perché "da fonti rinnovabili", il gestore ottiene dei certificati verdi che può rivendere (a prezzi di mercato) a industrie o attività che sono obbligate a produrre una quota di energia mediante fonti rinnovabili ma non lo fanno autonomamente.

In Italia i certificati verdi sono emessi dal gestore della rete elettrica nazionale GSE (Gestore Servizi Elettrici) su richiesta dei produttori di energia da fonti rinnovabili.[1]

I Certificati Verdi sono introdotti dal decreto di liberalizzazione del settore elettrico nota come Decreto Bersani. Il decreto di attuazione della direttiva 96/92/CE [2] stabilisce che i produttori possano richiedere i certificati verdi per 8 anni (per impianti entrati in servizio o revisionati dopo l'aprile del 1999) e per 15 anni per impianti successivi al 31/12/2007 (norma in finanziaria 2008). I certificati verdi permettono alle imprese che producono energia da fonti convenzionali (petrolio, carbone, metano, eccetera) di rispettare la legge che obbliga ogni produttore o importatore di energia a usare fonti rinnovabili per il 2%.

L'impresa produttrice di energia acquista, presso la borsa gestita da GSE, i certificati verdi che gli occorrono per raggiungere la soglia del 2% della propria produzione. La quota del 2% si incrementa ogni anno, dal 2004, di 0,35% punti percentuali. I certificati verdi possono essere accumulati e venduti successivamente, ad esempio quando il valore sia cresciuto a seguito della domanda di mercato. Nel 2005 il valore è stato fissato dal mercato a 108,92 €/MWh al netto dell'IVA per 86.136 certificati verdi emessi per complessivi 4.308 GWh. I produttori di energia da fonti rinnovabili hanno anche, per legge, la "priorità di dispacciamento" cioè la garanzia, da parte del gestore della rete, di comprare prioritariamente l'energia così prodotta. Al 2006 con gli impianti certificati come fonti rinnovabili producevano 3.212 GWh di energia idroelettrica (35%), 2.440 GWh eolica (27%), 1.297 GWh con biomasse (14%), 943 GWh geotermica (10%), 745 GWh biogas (8%), 521 GWh con i rifiuti (6%) e 2,7 GWh solare [3]. Il prezzo dei certificati verdi è stato pari a circa 125 €/MWh nel 2006, valore a cui va aggiunto il prezzo di cessione dell'energia elettrica sul mercato (oltre 70 €/MWh), per un totale di circa 200 €/MWh. Dal 2009 sarà di circa 180 €/MWh più il prezzo di cessione dell'energia elettrica sul mercato.

Il risultato di questa politica è la creazione di un mercato in cui alcuni possono vendere l'energia con maggiori margini di profitto rispetto ad altri, in modo da incentivare, almeno in teoria, modi di produzione dell'energia che dovrebbero ridurre la quantità di gas-serra (anidride carbonica ed altri). Lo scopo è di utilizzare i meccanismi del libero mercato per incentivare determinati processi produttivi dell’energia, evitando un intervento diretto dello Stato, ma si manifestarono alcune distorsioni, vanificando in parte lo scopo primario di riduzione dei gas-serra. Infatti a causa della normativa italiana che concedeva questi sussidi anche alle fonti cosiddette assimilate alle rinnovabili (definizione tutta italiana e senza riscontri in Europa) una gran parte dei fondi sono stati destinati in modo controverso anche ad attività quali la combustione di scorie di raffineria, sanse ed all'incenerimento dei rifiuti. Poiché tale incentivazione durerà ancora molti anni, attualmente ci si trova nella situazione paradossale in cui ad esempio scarti di raffineria, per il cui smaltimento in tutto il mondo i produttori erano costretti ad accollarsi dei costi, in Italia vengono bruciati ricevedo anche dei finanziamenti. Successivamente un secondo decreto Bersani ha corretto (per il futuro) questo errore eliminando le "assimilate" e mantenendo unicamente il termine "rinnovabili".[senza fonte]

L'incentivazione, se diventa eccessiva – ad esempio perché nel frattempo il costo della tecnologia cala molto – può provocare altre distorsioni, ad esempio nel caso dell'eolico. Nel caso dell'energia eolica, garantire dei margini di profitto più alti comporta direttamente l'ampliamento delle aree del territorio nazionale dove è conveniente installare un impianto eolico; l'incentivazione deve quindi essere calibrata sulla base del territorio che si vuole assegnare a questo settore, della produzione che si vuole raggiungere, dei costi che si vogliono sostenere, per evitare conseguenze indesiderabili, a partire dalla degradazione di territori o paesaggi di grande valore (molto diffusi in Italia), a danno del settore culturale e turistico.

D'altro canto, il meccanismo dei certificati verdi può non essere sufficiente per incentivare fonti rinnovabili meno mature industrialmente, come il solare fotovoltaico e termodinamico; è perciò solo uno dei metodi da considerare per una politica di incentivazione equilibrata.

Note [modifica]

  1. ^ Le cosiddette «rinnovabili assimilate» sono state escluse nel 2007 da ogni incentivazione da rinnovabili, perciò possono godere solo dei certificati bianchi[senza fonte].
  2. ^ Decreto 11 novembre 1999, "Direttive per l'attuazione delle norme in materia di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 11 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79"
  3. ^ grtn.it: "Bollettino energia da fonti rinnovabili"

venerdì 17 luglio 2009

Petizione contro il finanziamento degli inceneritori e delle finti assimilate


Dai il tuo contributo qui!
la petizione Commissione Europea - Governo Italiano è stata creata e scritta da Matteo Incerti (stampa@nfli.it).

La petizione in dettaglio:

To: Commissione Europea - Governo Italiano

Con la seguente petizione i cittadini residenti sul territorio della Repubblica Italiana di cittadinanza italiana, UE od ExtraUE:

ricordano:

-che la Commissione Europea durante la presidenza di Romano Prodi nel 2003 con il Commissario Commissario UE per i Trasporti e l'Energia, Loyola De Palacio, in risposta ad una interrogazione dell' europarlamentare Monica Frassoni, in data 20.11.2003 (risposta E-2935/03IT) ha ribadito il fermo no dell'UE all'estensione del regime di sovvenzioni europee per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, previsto dalla Direttiva 2001/77, all'incenerimento delle parti non biodegradabili dei rifiuti. Queste le affermazioni testuali del suo Commissario all'energia nel 2003: "La Commissione conferma che, ai sensi della definizione dell'articolo 2, lettera b) della direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità, la frazione non biodegradabile dei rifiuti non può essere considerata fonte di energia rinnovabile".




-la stessa direttiva 2001/77/CE al considerando n. 8, prevede che nel contesto di un futuro sistema di sostegno alle fonti energetiche rinnovabili non bisognerebbe promuovere l'incenerimento dei rifiuti urbani non separati,

-Considerato che i cittadini italiani tramite la voce A3 delle loro bollette ENEL sotto la voce "fonti energie rinnovabili e assimilate" finaziano raffinerie, inceneritori di rifiuti non biodegradabili (RSU,industriali etc.) impianti in cogenerazione da fonti fossili (carbone, scarti di lavorazione della gomma etc.); in pratica come afferma la normativa " quelli che utilizzano calore di risulta, fumi di scarico e altre forme di energia recuperabile in processi e impianti; quelli che usano gli scarti di lavorazione e/o di processi e quelli che utilizzano fonti fossili prodotte solo da giacimenti minori isolati".



-I sottoscritti cittadini residente nella Repubblica Italiana si rifiutano di continuare a pagare incentivi per centrali altamente inquinanti, non rinnovabili, insalubri e cancerogene come inceneritori di RSU e rifiuti industriali, raffinerie, centrali a fonti fossili, etc.

In rispetto delle normative europee sulle energie rinnovabili chiedono

-alla Commissione Europea di intervenire nuovamente presso il Governo italiano

-al Governo italiano di :




-Rispettare l'ordine del giorno G15.100 dei Senatori SODANO, DE PETRIS, FERRANTE, RUBINATO che recepisce quanto sopra e quindi a:

-a recepire fedelmente la direttiva 2001/77/CE (relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità), in particolare il suo articolo 2;

- a concedere i finanziamenti e gli incentivi pubblici di cui all'articolo 17 del decreto legislativo n. 387 del 2003 esclusivamente alla produzione di elettricità attraverso fonti energetiche rinnovabili, soltanto per la parte biodegradabile dei rifiuti industriali ed urbani;

-la consegente abolizione immediata dei finanziamenti cip6-certificati verdi alle fonti che non sono rinnovabili ed alle "fonti assimilate" in quanto inceneritori di rifiuti solidi urbani, industrali e rifiuti nonbiodegradabili e centrali a fonti fossili (carbone, raffinerie, scarti industriali ) non sono fonti nè rinnovabili oltre ad essere altamente inquinanti per l'ambiente e dannose per la salute umana




-Tassare l'incenerimento di rifiuti solidi urbani, industriali e le combustioni da fonti fossili.

-Al tempo stesso si chiede di finanziare esclusivamente fonti realmente rinnovabili come




energia solare

fotovoltaica

idroelettrico di piccole dimensioni

eolico

geotermica



-al fine di incentivare una corretta gestione dei rifiuti finanziare e concedere incentivi fiscali per

a) politiche di raccolta differenziata spinta con tariffa puntuale che puntino ad oltre il 70\% di raccolta differenziata(es. porta a porta su 5/6 frazioni con tariffa puntuale ),

b) politiche di riduzione alla fonte dei rifiuti,

c)politiche di incentivi fiscali per chi elimina il doppio-triplo imballaggio,

d)vendita di prodotti alla spina (latte fresco, bibite, detersivi etc).



Sincerely,

mercoledì 1 luglio 2009

A caccia di biomasse


Pubblicata in un blog perugino c’è una serie di esternazioni di un giovane dipendente di un’azienda che tratta centrali a biomasse. Come sempre accade in circostanze analoghe, il dipendente, della cui buona fede non dubito, è stato opportunamente addestrato in modo da non chiudere il cerchio del suo ragionamento. Malauguratamente, soprattutto quando ci sono forti interessi economici in ballo, chi ha interesse a farlo offre una rappresentazione parziale dei fatti, mettendone in luce alcuni aspetti e trascurandone altri. Ora, non è raro che questi aspetti tenuti da parte siano di estrema importanza. Se vogliamo dare un’occhiata all’energia che l’uomo usa, e in parte preponderante spreca, non c’è massa vegetale capace di fornirne una frazione ragionevole. Ma questo, lasciando da parte la resa energetica di fatto veramente irrisoria, non sarebbe poi tanto grave, se esistessero le possibilità pratiche per ottenere queste masse. Le cose, però, non stanno così. Se si dà un’occhiata alla situazione
dell’Emilia Romagna, dove c’è il progetto di erigere qualche centrale del genere, i calcoli del prof. Tamino (Università di Padova) indicano che per farle funzionare occorrerebbe mettere a coltura dedicata un territorio ben più che doppio rispetto a quello dell’intera regione e quelle colture, peraltro campate in aria se non altro per carenza di metri quadrati, riguarderebbero un tipo di canna infestante che i contadini locali hanno impiegato un secolo a debellare. Dunque, nel caso, si ricorrerà ad importazioni dall’estremo oriente con l’inquinamento che conseguirà sia da tutte le fasi del trasporto, sia dai concimi chimici sia dai pesticidi che ci arriveranno insieme con i vegetali da quei paesi. È poi ovvio che non si possono mettere a coltura dedicata territori enormi, perché di vegetali per altri scopi abbiamo comunque bisogno. Ciò che accadrà inevitabilmente, e la profezia è fin troppo facile, sarà che qualche legislatore, legalmente ma illegittimamente, tramuterà ogni sorta di rifiuti in biomasse con buona pace di tutti. Un déjà vu.E tuttavia non è questo l’aspetto fondamentale, almeno a parer mio, della questione. Che lo vogliamo o no, l’uomo è l’unico animale inquinante che viva su questo pianeta e, sempre che lo vogliamo o no, ha cominciato ad uscire dall’equilibrio naturale nel momento in cui ha imparato ad accendere il fuoco. A questo punto, so bene che qualcuno comincerà a strillare accusandomi di auspicare un ritorno alla più pura animalità, ma io parlo da un punto di vista esclusivamente scientifico e il resto m’interessa solo come folclore. Bene, occorre sapere che ogni combustione produce inquinanti. E tanti. Per chi vuole informazioni, il Politecnico di Zurigo organizza ogni anno un congresso di livello mondiale sull’argomento, ma basta una normale laurea in chimica o anche solo un diploma per saperlo. Così, non bisogna illudersi: i vegetali bruciati inquinano eccome. Quando si entra nell’argomento biomasse, a riprova degli aspetti su cui si preferisce glissare, si dice che, bruciando, una pianta produce tanta anidride carbonica quanta ne produrrebbe comunque con il suo solo esistere. D’accordo. Però il problema non sta lì. Intanto bisogna sapere che ogni volta che si brucia qualcosa di organico in presenza di cloro, un elemento pressoché ubiquo, si produce la più insidiosa delle diossine, quella con quattro atomi di cloro nella molecola. Ma oltre alla diossina, la temperatura e l’ossidazione di una miriade di sostanze solo parzialmente conosciute costruiscono tutta una serie lunghissima d’inquinanti. Tanto per fare un esempio che credo sia di facile comprensione, è noto come il tabacco (una solanacea come la patata) contenga quasi 4.000 sostanze di cui si ha contezza, e di queste qualche centinaio sicuramente tossiche. Non esiste nessun motivo scientifico che possa escludere presenze analoghe in ciò che si brucia promuovendolo come innocuo. Il tabacco stesso, comunque, con i propri scarti di lavorazione rientra nella classificazione di biomassa. Poi, restando nel mio campo, si producono quantità rilevanti di micro e nanoparticelle inorganiche che originano dal contenuto appunto inorganico della pianta stessa, un contenuto tutt’altro che irrilevante e fortissimamente dipendente dal terreno in cui la pianta è cresciuta. Va, poi, tenuto conto del fatto che anche i vegetali cosiddetti vergini subiscono l’inquinamento superficiale di ciò che sta più o meno sospeso nell’atmosfera “normale”, e questo passa di conseguenza nella combustione in maniera più o meno trasformata. Di quel particolato (non commento l’ovvia ingenuità dell’autore delle esternazioni che crede che questo particolato possa essere “abbattuto”) non si è tenuto conto nel ragionamento fatto e questo è ormai in contrasto stridente con la scienza medica moderna. Al proposito esiste un’amplissima letteratura e la Comunità Europea, tra le altre istituzioni, vi dedica parecchie risorse. Si tenga presente, in aggiunta, che la stessa Comunità Europea ha da tempo recepito il cosiddetto principio di precauzione e, se non vogliamo essere i soliti arroganti fuorilegge, dobbiamo dimostrare che ciò che esce da questi impianti non fa male. In mancanza di una dimostrazione, niente centrali. È la legge. L’energia, allora? Sì, è vero: oggi il fotovoltaico è arretrato. A questo punto, bisogna ancora una volta tener conto di un fatto fisico inoppugnabile. Quando si vuole attribuire energia ad un sistema, l’energia va presa da fuori, a pena di restare per forza di cose a secco. Il sole è, che lo si voglia o no, in pratica l’unica fonte d’energia esterna di cui disponiamo e di energia ce ne dà a iosa, più o meno due cavalli vapore per metro quadro di pianeta ogni secondo, cioè intorno ad un miliardo di volte più di quanta ne usiamo e ne sprechiamo noi. Dunque, invece di andare a caccia di farfalle e d’imbarcarci in imprese improbabili e deleterie se non altro dal punto di vista della salute, è meglio che ci rimbocchiamo le maniche, indirizziamo la ricerca in una direzione utile a tutti e non fatta per circoli sulla cui onestà non giocherei un centesimo, e cerchiamo di acchiappare quel miliardesimo del tesoro che ci serve.

Scritto da Stefano Montanari
mercoledì 20 giugno 2007

venerdì 26 giugno 2009

Economicamente convengono le biomasse? e a chi?

Questo articolo qui riportato è un po' vecchio ma fa riflettere su alcuni punti oscuri dei fondi europei e di quello che noi paghiamo di come vengono investiti e di chi ci guadagna a scapito di chi salute inclusa.

Buona lettura


10 Aprile 2006

Pedalare Prodi, pedalare...

prodi ciclista.jpg

L’Unione ha vinto, dopo qualche sobrio spumantino chiediamo al nostro dipendente Romano Prodi di mettersi subito al lavoro da domani mattina iniziando dagli inceneritori.
Pedalare Prodi, pedalare...

“ Gentile Presidente del Consiglio Romano Prodi,

La produzione di energia attraverso l'incenerimento dei rifiuti, caso unico e contestato in Europa, oggi è fortemente sovvenzionata dallo Stato, perché beneficia impropriamente del cosiddetto contributo Cip 6, destinato alle fonti "energetiche rinnovabili" che paghiamo nella della bolletta elettrica: senza il Cip6 la produzione di energia da rifiuti non presenterebbe alcun vantaggio economico rispetto alle fonti rinnovabili.

La stessa Commissione Europea, che Lei ha presieduto, nel 2003 con il Commissario Commissario UE per i Trasporti e l’Energia, Loyola De Palacio, in risposta ad una interrogazione dell’ europarlamentare Monica Frassoni, in data 20.11.2003 (risposta E-2935/03IT) ha ribadito il fermo no dell’UEall’estensione del regime di sovvenzioni europee per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, previsto dalla Direttiva 2001/77, all’incenerimento delle parti non biodegradabili dei rifiuti. Queste le affermazioni testuali del suo Commissario all’energia nel 2003: “La Commissione conferma che, ai sensi della definizione dell’articolo 2, lettera b) della direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità, la frazione non biodegradabile dei rifiuti non può essere considerata fonte di energia rinnovabile”.

Uno studio dell'Università Bocconi del 2005 ha dimostrato che il costo di 1 MWh prodotto da un medio impianto idroelettrico è pari a 66 euro che scende a 63 se viene prodotto all'eolico, sale a 121 se prodotto da biomasse e arriva a 280 se si tratta di fotovoltaico. L'incenerimento di rifiuti solidi urbani con “recupero energetico”, senza considerare il costo di gestione e trattamento dei rifiuti ed i danni alla salute umana causati dalle nanoparticelle, prima che arrivino all'inceneritore, è di 228 euro MWh.

Questo significa che se il Cip6, che noi paghiamo nelle nostre bollette Enel, andasse alle fonti veramente rinnovabili in Italia ci sarebbe convenienza ad andare sul solare, non sugli inceneritori!

Se il contributo statale venisse destinato alle fonti veramente rinnovabili e non ai rifiuti, la produzione elettrica dal cosiddetto Cdr (Combustibile da rifiuti) e tramiteInceneritori chiamati impropriamente e solo in Italia "Termovalorizzatori"non avrebbe nessun vantaggio economico. Né per il cittadino né per le aziende che scelgono di produrre energia attraverso questo sistema o di smaltire rifiuti tramite l'incenerimento.

Inoltre gli inceneritori, specialmente quelli di nuova generazione, come hanno dimostrato gli studi del dottor Stefano Montanari e della dottoressa Antonietta Gatti, producono pericolosissime nanoparticelle inorganiche (Pm 2,5 fino a Pm 0,01) che penetrano nel sangue e da lì si depositano negli organi del corpo umano e sono causa di gravi malattie, tra queste il cancro. Sono le cosiddettenanopatologie.

Queste nanopolveri si creano tramite le altissime temperature che si generano. Una storia già vista anche presso la centrale Enel ad olio combustibile di Porto Tolle (dove Tatò,Scaroni ed Enel sono stati condannati a risarcire tre milioni di euro), tra i reduci della Guerra del Kossovo e in Irak (la cosidetta "Sindrome del Golfo" causata dai proiettili ad uranio impoverito o al tungsteno), nel crollo delle Torri Gemelle a New York e nelle zone industriali. Anche alcuni Filtri Antiparticolato sono fortemente sospettati di produrre le pericolose nanoparticelle.

Come primo atto del suo governo le chiediamo quindi di:

- rispettare i dettati europei ed abolire immediatamente i finanziamenti all'incenerimento dei rifiuti in quanto non sono fonte d'energia rinnovabile. Come succede in altri paesi d'Europa l'incenerimento dei rifiuti va tassato e, diciamo noi, vietato

- abolire la "Legge Delega" sull'Ambiente del Governo Berlusconi che prevede tra l'altro un inceneritore in ogni provincia oltre all'eliminazione di tantissimi vincoli a tutela dell'ambiente e quindi della salute

- puntare decisamente, per gestire l'intero ciclo di gestione dei rifiuti, a: riduzione alla fonte, tassare chi produce più imballaggi ed incentivare chi punta su riutilizzo e riduzione rifiuti, raccolta differenziata obbligatoria in tutta Italia come è in Germania e per il trattamento del residuo utilizzare i moderni sistemi di Trattamento Biologico "a freddo", cioè senza incenerimento già sperimentati in altre realtà europee e a Sidney in Australia, che oltre a non produrre nanopolveri costano circa il 75% in meno degli impianti di incenerimento

- riconoscere per legge la pericolosità delle nanoparticelle (inferiori a Pm 2,5 fino a Pm 0,01) come già diversi studiosi da tutta Europa stanno chiedendo alla Commissione ed al Parlamento Europeo.

Vogliamo cambiare. Lei ha, per ora, la nostra fiducia”.

Beppe Grillo e i blogger

Articolo tratto dal sito beppegrillo.it

diffondi

martedì 23 giugno 2009

Altre realtà simili al problema della centrale a biomasse del Portogruarese

Come potrete leggere nell' articolo qui lincato il problema delle centrali a biomasse non è solo dei portogruaresi ma si ripropone anche nel resto d'Italia.
Per fortuna non tutti stanno a guardare chi da altri paesi viene nel proprio a dettare il bello e cattivo tempo ma si coalizzano e organizzano per proteggere la loro comunità e la loro salute contrastando gli interessi economici e politici di pochi a scapito dei molti, quei pochi che non hanno a cuore altro che il proprio tornaconto.
Qui addirittura si sono uniti il Comitato Tutela Valdichiana, COMITATO DI S.ZENO, COMITATO AMBIENTE E SALUTE (CIVITELLA IN VALDICHIANA), Italia Nostra, WWF e Forum Ambientalista.


Dovremmo forse prendere esempio da loro!?


domenica 21 giugno 2009

Chiacchere e giustificazioni sulla centrale a biomasse di Portogruaro

Per servire ai nostri lettori una informazione più "leggera" ecco alcuni video che raccontano le giustificazioni e le chiacchere di chi "davvero conta" , decidendo e ipotecando il nostro futuro e la nostra salute, ma ovviamente resta a voi lettori l'ultima parola.

(per chi non lo sapesse Mauro Fanin è il proprietario della Cereal Dokcs che da Vicenza sposta i suoi interessi a Summaga di Portogruaro a scapito dei cittadini... )





Da "casa nostra"...











Per qualsiasi suggerimento critiche o altro materiale non esitate a contattarci info@caveneto.org

I cinque miti della transizione verso gli agrocarburanti

I cinque miti della transizione verso gli agrocarburanti
DI ERIC HOLTZ-GIMÉNEZ

Direttore generale di Food First - Institute for Food and Development Policy, Oakland (Stati uniti).
Biocarburanti... Il termine evoca l'immagine accattivante di un'energia rinnovabile
pulita e inesauribile, parla di fiducia nella tecnologia e di un progresso vigoroso e
compatibile con la protezione permanente dell'ambiente. Consente all'industria, a
uomini e donne del mondo politico, alla Banca mondiale, alle Nazioni unite e anche al
Gruppo intergovernativo di esperti sull'evoluzione del clima (Giec) di presentare i
carburanti prodotti da mais, canna da zucchero, soia e altre colture come la prossima
tappa di una transizione morbida ancora da definire, dal picco della produzione
petrolifera ad un'economia energetica basata su risorse rinnovabili.

I programmi sono già molto ambiziosi. In Europa, è previsto che combustibili
provenienti dalla biomassa coprano il 5,75% della domanda di carburanti stradali nel
2010 e il 20% nel 2020. Gli Stati uniti puntano a trentacinque miliardi di galloni
l'anno. Sono obiettivi che superano di parecchio le capacità produttive dell'agricoltura
dei paesi industrializzati dell'emisfero Nord. L'Europa dovrebbe utilizzare il 70%
delle sue terre coltivabili per vincere la scommessa; tutti i raccolti di mais e
soia degli Stati uniti dovrebbero essere trasformati in etanolo e biodiesel. Una tale
trasformazione stravolgerebbe il sistema alimentare delle nazioni del Nord. Così i
paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse)
guardano all'emisfero Sud per far fronte ai propri bisogni.

Indonesia e Malaysia aumentano rapidamente le piantagioni di palme da olio per
riuscire a coprire il 20% del mercato europeo del biodiesel.
In Brasile - dove la superficie di terre coltivabili dedicate alle colture per carburanti
occupa già una porzione di territorio pari alle dimensione di Regno unito, Paesi Bassi,
Belgio e Lussemburgo riuniti - il governo prevede di moltiplicare per cinque la
superficie riservata alla canna da zucchero. Il suo obiettivo è sostituire il 10% del
consumo mondiale di benzina entro il 2025.

La rapidità con la quale si effettuano mobilitazione di capitali e concentrazione di
potere all'interno dell'industria degli agrocarburanti è stupefacente. Negli ultimi tre
anni, gli investimenti sotto forma di capitale di rischio (venture capital) si sono
moltiplicati per otto. I finanziamenti privati inondano le istituzioni di ricerca pubbliche,
come dimostra il mezzo miliardo di dollari di sovvenzioni concesso da Bp (ex British
petroleum) all'università della California.

I grandi gruppi petroliferi, cerealicoli, automobilistici e di ingegneria genetica
stringono importanti accordi di partenariato: Archer Daniels Midland company (Adm)
e Monsanto, Chevron e Volkswagen, Bp, DuPont e Toyota. Queste multinazionali
cercano di concentrare le loro attività di ricerca, produzione, trasformazione e
distribuzione relative ai nostri sistemi alimentari e di approvvigionamento di
carburanti. Ragione in più per chiarire bene, prima di salire su un treno già in corsa, i
miti che accompagnano la transizione verso gli agrocarburanti.

1. GLI AGROCARBURANTI SONO PULITI E PROTEGGONO L'AMBIENTE Poiché la
fotosintesi utilizzata per queste colture sottrae gas a effetto serra dall'atmosfera e
dato che gli agrocarburanti possono ridurre il consumo di energia fossile, si pretende
che proteggano l'ambiente. Ma quando si analizza il loro impatto «dalla culla alla
tomba» - dal dissodamento della terra fino al loro utilizzo nei trasporti stradali - , le
limitate riduzioni di emissioni di gas a effetto serra sono annullate da quelle molto più
gravi provocate da deforestazione, incendi, drenaggio delle zone umide, metodi di
coltura e perdite di carbonio del suolo. Ogni tonnellata di olio di palma emette
altrettanta anidride carbonica, se non di più, del petrolio. L'etanolo prodotto da
canna da zucchero coltivata su foreste tropicali dissodate emette una volta e mezzo
gas a effetto serra rispetto alla produzione e all'utilizzazione di una quantità
equivalente di benzina. Quando commenta l'equilibrio planetario del carbonio, Doug
Parr, massimo responsabile scientifico di Greenpeace, dichiara categoricamente: «Se
si producesse anche solo il 5% di biocarburanti abbattendo foreste primarie ancora
esistenti, si perderebbe la totalità del progresso sul carbonio». Le colture industriali
destinate a carburanti necessitano di spargimenti massicci di concimi prodotti dal
petrolio il cui consumo mondiale - attualmente 45 milioni di tonnellate l'anno - ha già
raddoppiato il livello di azoto biologicamente disponibile sul pianeta,
contribuendo così fortemente alle emissioni di ossido nitroso, un gas a effetto serra il
cui potenziale di riscaldamento globale è trecento volte più alto di quello del CO2
[biossido di carbonio]. Nelle regioni tropicali - da dove presto proverrà la maggior
parte degli agrocarburanti - i concimi chimici hanno da dieci a cento volte più
effetto sul riscaldamento planetario che nelle regioni temperate.

Ottenere un litro di etanolo richiede da tre a cinque litri di acqua d'irrigazione e
produce fino a tredici litri di acque reflue. Per trattare queste acque di scolo occorre
l'equivalente energetico di centotredici litri di gas naturale, il che aumenta la
probabilità che vengano semplicemente rilasciate nell'ambiente inquinando corsi
d'acqua, fiumi e falde freatiche. L'intensificarsi delle colture energetiche per
carburanti provoca anche un aumento del ritmo di erosione dei suoli, in particolare
nel caso della produzione di soia - 6,5 tonnellate per ettaro l'anno negli Stati uniti;
fino a 12 tonnellate in Brasile e in Argentina.

2. GLI AGROCARBURANTI NON PROVOCANO DEFORESTAZIONE I sostenitori degli
agrocarburanti affermano che le colture effettuate su terre ecologicamente degradate
migliorano l'ambiente. Forse il governo brasiliano aveva questo in mente quando ha
riqualificato circa 200 milioni di ettari di foresta tropicale secca, praterie e paludi, in
«terre degradate» e adatte alla coltura. In realtà, si trattava di ecosistemi di grande
biodiversità nelle regioni del Mata Atlántica, del Cerrado e del Pantanal, occupate da
popolazioni indigene, contadini poveri e grandi aziende per allevamento estensivo di
bovini.

L'introduzione di colture destinate agli agrocarburanti avrà molto semplicemente
come risultato quello di ricacciare queste comunità verso la «frontiera agricola»
dell'Amazzonia, là dove le tecniche devastatrici di deforestazione sono fin troppo
note. La soia fornisce già il 40% degli agrocarburanti del Brasile. Secondo la Nazional
aeronautics and space administration (Nasa), più i prezzi della soia aumentano, più si
accelera la distruzione della foresta umida dell'Amazzonia - 325.000 ettari l'anno, al
ritmo attuale.

In Indonesia, le piantagioni di palma da olio destinate alla produzione di biodiesel -
detto «diesel della deforestazione» - sono la causa principale dell'arretramento della
foresta. Verso il 2020, queste superfici saranno triplicate e raggiungeranno i 16,5
milioni di ettari - le dimensioni di Inghilterra e Galles insieme - , con il risultato di una
perdita pari al 98% del manto forestale. La vicina Malaysia, primo produttore
mondiale di olio di palma, ha già perso l'87% delle sue foreste tropicali e continua a
distruggere quelle che restano a un ritmo del 7% l'anno.

3. GLI AGROCARBURANTI AIUTERANNO LO SVILUPPO AGRICOLO Ai tropici, 100
ettari destinati all'agricoltura familiare creano trentacinque posti di lavoro; la palma
da olio e la canna da zucchero dieci, gli eucalipti due, la soia appena mezzo. Fino a
non molto tempo fa, gli agrocarburanti erano destinati soprattutto ai mercati locali e
sub-regionali. Anche negli Stati uniti, la maggior parte delle aziende che producono
etanolo, di taglia relativamente modesta, erano proprietà degli agricoltori. Con
l'attuale boom, entra in gioco la grande industria, creando economie di scala
gigantesche e centralizzando lo sfruttamento.

I gruppi petroliferi, cerealicoli e i produttori di colture transgeniche rafforzano la loro
presenza lungo tutta la catena di valore aggiunto dei agrocarburanti. Cargill e Adm
controllano il 65% del mercato mondiale dei cereali; Monsanto e Sygenta dominano il
mercato dei prodotti geneticamente modificati. Per le semenze, gli input, i servizi, le
trasformazioni e la vendita dei loro prodotti, gli agricoltori che coltivano per gli
agrocarburanti saranno sempre più dipendenti da un'alleanza di società fortemente
organizzate. È poco probabile che ne traggano dei guadagni. Più probabilmente, i
piccoli coltivatori saranno espulsi dal mercato e dalle loro terre. Centinaia di migliaia
sono già stati gli spostati nella «repubblica della soia», una regione di più di 50
milioni di ettari nel sud del Brasile, il nord dell'Argentina, il Paraguay e l'est della
Bolivia.

4. GLI AGROCARBURANTI NON CAUSERANNO FAME Secondo la Food and agricultural
organization (Fao), la quantità di cibo nel mondo potrebbe fornire a tutti una razione
giornaliera di 2.200 calorie sotto forma di frutta fresca e secca, legumi, prodotti del
latte e carne. Eppure, la povertà fa sì che 824 milioni di persone continuino a
soffrire la fame. Ora, la trasformazione che si annuncia crea concorrenza tra la
produzione alimentare e quella di carburanti nell'accesso alla terre, all'acqua e alle
risorse. Un esempio concreto lo si ha oggi in Messico. Avendo smantellato le barriere
doganali nel quadro dell'Accordo di libero scambio nord-americano (Nafta), il Messico
importa ormai il 30% del mais dagli Stati uniti. L'aumento crescente della domanda di
etanolo nel paese ha provocato un'enorme pressione sul prezzo di questo cereale,
che ha toccato, nel febbraio 2007, il livello più alto degli ultimi dieci anni, provocando
un drammatico aumento del prezzo della tortilla - piatto base dalla popolazione
messicana. Di fronte alle manifestazioni di protesta di una popolazione povera colpita
dalla fame, il governo di Felipe Calderón, al termine di un incontro con le
multinazionali dell'industria e della distribuzione, ha dovuto limitare al 40% l'aumento
del prezzo della tortilla fino al prossimo agosto.

Approfittando della situazione, il Centro di studi economici del settore privato (Ceesp)
ha pubblicato una serie di «studi» in cui si afferma che l'uscita dalla crisi, per il
Messico, passa per la produzione di mais per agro-combustibili e che questo «deve
essere transgenico». Su scala mondiale, i più poveri spendono già dal 50 all'80% del
reddito familiare per l'alimentazione. Patiscono quando gli alti prezzi delle colture per
carburanti fanno aumentare il prezzo degli alimenti.

L'Internazional Food Policy Research Institute (Ifpri, Istituto internazionale di ricerca
sulle politiche dell'alimentazione) di Washington ha previsto che il prezzo degli
alimenti di base aumenterà dal 20% al 33% nel 2010 e dal 26% al 135% nel
2020. Ora, ogni volta che il costo degli alimenti aumenta dell'1%, 16 milioni di
persone precipitano nell'insicurezza alimentare. Se continua la tendenza attuale, nel
2025, 1,2 miliardi di abitanti potrebbero soffrire cronicamente la fame.
In questo caso, l'aiuto alimentare internazionale non sarebbe probabilmente di
grande aiuto, visto che il nostro surplus agricolo sarà andato...
nelle nostre riserve di benzina.

5. GLI AGROCARBURANTI DI «SECONDA GENERAZIONE» SONO A PORTATA DI MANO
Per rassicurare gli scettici, i sostenitori degli agrocarburanti amano affermare che
questi ultimi, attualmente prodotti a partire da colture alimentari, saranno presto
rimpiazzati da prodotti più compatibili con l'ambiente, come alberi a crescita rapida e
il Panicum virgatum (graminacea che raggiunge 1,80 metri di altezza). Cercano così
di rendere più accettabili gli agrocarburanti di prima generazione.
Sapere quali colture saranno trasformate in carburante non è significativo.

Le piante selvatiche non avranno un minor «impatto ambientale» perché la
commercializzazione ne trasformerà l'ecologia. Coltivate in modo intensivo,
migreranno rapidamente dalle siepi e dai terreni boscosi verso le terre coltivabili - con
le conseguenze ambientali collegate.

L'industria punta a produrre piante cellulosiche, geneticamente modificate - in
particolari alberi a crescita rapida - , che si decomporrebbero facilmente per liberare
zuccheri. Vista l'attitudine alla disseminazione già dimostrata dalle colture
geneticamente modificate, ci si possono aspettare contaminazioni massicce.

Qualsiasi tecnologia il cui potenziale permetta di evitare gli impatti più negativi sul
cambiamento climatico deve essere commercializzata su grande scala nei prossimi
cinque-otto anni. Prospettiva molto poco probabile nel caso dell'etanolo estratto dalla
cellulosa, prodotto che, finora, non ha mostrato alcuna riduzione di emissione di
carbonio. L'industria degli agrocarburanti sta scommettendo sui miracoli.

L'Agenzia internazionale dell'energia ritiene che, nei prossimi ventitré anni, a livello
mondiale si potranno fabbricare fino a 147 milioni di tonnellate di agrocarburanti. Un
simile volume produrrà molto carbonio, ossido nitroso, erosione, e più di 2 miliardi di
tonnellate di acque reflue. Ma, per quanto stupefacente possa apparire, tale
produzione arriverà soltanto a compensare la crescita annuale della domanda
mondiale di petrolio, che attualmente si può valutare in 136 milioni di tonnellate
l'anno. Il gioco vale la candela?

Per le grandi società cerealicole, sicuramente sì. Che si chiamino Adm, Cargill o
Bunge, sono i pilastri dell'agro-alimentare. Circondate da una moltitudine altrettanto
potente di trasformatori di materie prime e di distributori, a loro volta associati a
catene di supermercati da una parte e a società agro-chimiche, di semenze e di
macchine agricole, dall'altra. Su 5 dollari spesi in alimenti, 4 corrispondono all'attività
dell'insieme di queste società. Ma, da un po' di tempo, il settore produttivo soffre di
un'«involuzione»: poiché quantità crescenti di investimenti (input chimici, ingegneria
genetica e nuovi macchinari) non hanno aumentato il tasso di produttività
dell'agricoltura, il complesso agro-alimentare è costretto a spendere di più per
raccogliere meno. Gli agrocarburanti sono la risposta perfetta a questa involuzione.

Sovvenzionati e in fase di crescita, mentre il petrolio indietreggia, facilitano la
concentrazione delle industrie dell'alimentazione e dell'energia nelle mani degli attori
più potenti. Sfortunatamente, la transizione verso gli agrocarburanti soffre di una tara
congenita. Essi infatti entrano in competizione con l'alimentazione per quanto
riguarda terra, acqua e risorse. Sviluppati all'estremo, saranno utilizzati per
produrre... agrocarburanti. Una proposta patetica dal punto di vista termodinamico.
Ci obbligano a vivere al di sopra dei nostri mezzi. «Rinnovabile» non significa
infatti «senza limiti». Anche se le colture possono essere ripiantate, la terra, le
acque e gli alimenti restano limitati.

Di fatto, l'attrattiva di questi biocombustibili risiede nel fatto che potrebbero
prolungare l'economia fondata sul petrolio. Con una stima di circa 1.000 miliardi di
barili residui di riserve mondiali di petrolio convenzionale, un barile di petrolio tra non
molto potrà costare 100 dollari. E più il prezzo del petrolio sarà alto, più il costo di
produzione dell'etanolo potrà crescere pur rimanendo competitivo. Ed è proprio
questa la contraddizione per gli agrocarburanti di seconda generazione: man mano
che il costo degli idrocarburi aumenta, gli agrocarburanti di prima generazione
diventano più redditizi, scoraggiando così l'idea di investire nello sviluppo di quelli di
seconda generazione. Se il petrolio raggiunge gli 80 dollari al barile, i produttori di
etanolo possono permettersi di pagare oltre 5 dollari il moggio (circa 127 kg) di mais,
rendendolo così competitivo anche rispetto alla canna da zucchero. La crisi energetica
mondiale è potenzialmente una miniera che va dagli 80.000 ai 100.000 miliardi di
dollari per i gruppi alimentari e petroliferi. Non stupisce che non si sia spinti a
modificare le nostre abitudini di «sovra-consumo».

La transizione verso gli agrocarburanti non ha niente di inevitabile.
Molte soluzioni locali di sostituzione provate con successo sul terreno, efficaci a livello
energetico pur restando centrate sui bisogni degli abitanti, sono già operative per
produrre alimenti e energia senza minacciare l'ambiente, o i mezzi di sussistenza.
Negli Stati uniti, decine di piccole cooperative locali producono biodiesel - spesso a
partire da olio vegetale riciclato. La maggioranza delle cooperative di etanolo del
Middle West sono - per il momento - nelle mani degli agricoltori locali. Così come i tre
quarti circa delle raffinerie di etanolo del Minnesota, a cui sono state concesse
notevoli sovvenzioni.

Sarebbe inaccettabile che i paesi del Nord spostassero il fardello del loro sovraconsumo
verso il Sud del pianeta, semplicemente perché i paesi intertropicali hanno
più sole, pioggia e terre coltivabili.

Articolo pubblicato su Le Monde Diplomatique – giugno 2007

giovedì 18 giugno 2009

Cereal Docks Romania e sud America, da dove vengono le granaglie ?!!!

Spesso non è necessario intraprendere tortuose ricerche o dover scavare più di tanto, la verità e i fatti sono li che ci fissano e aspettano solo d'essere guardati e così senza alcuna vergogna o remora ecco pubblicato nel sito ufficiale della Cereal Docks alcuni rami di sviluppo della s.p.a.
Sorge spontaneo chiedersi, ma farà davvero gli interessi degli agricoltori veneti come da lei promesso, oppure seguirà le proprie direttive?

di seguito materiale tratto dal sito ufficiale:

Cereal Docks INTERNATIONAL
Società di trading che ha l’obiettivo di fornire materie prime per i fabbisogni interni aziendali ai migliori prezzi mondiali e di supportare lo sviluppo internazionale dell’azienda.

Cereal Docks Romania
Società a cui è affidato il compito di sviluppare le colture energetiche (4.500 ettari coltivati a colza, soia, girasole) necessarie a fornire la materia prima per i bio-carburanti. Nell'ambito delle politiche agricole comunitarie stringe accordi di filiera con gli agricoltori rumeni per la destinazione di aree agricole a colture energetiche.

E poi...



Azienda agricola rumena con una superficie di oltre 1.000 ettari destinati alla coltivazione sperimentale di soia e colza.


Se tutto questo vi ha fatto salire solo un pò di acidità eccovi un altro estratto dal sito ufficiale dove si descrivono i porti di origine e destinazione dei prodotti:


Porti di origine

SUD AMERICA

Argentina: San Lorenzo, San Martin, Rosario, Buenos Aires,

Bahia Blanca, Necochea Itacoatiara

Brasile: Rio Grande, Paranagua, Santos, Itacoatiara

NORD AMERICA

Usa: Mississippi River, Texas Gulf, Grandi Laghi

Canada: Montreal, Quebec,

Fiume San Lorenzo

ASIA

India: Kandhla, Mumbai

EUROPA

mar Nero:

Russia, Ucraina, Moldavia, Romania, Bulgaria

AFRICA

Sudan: Port Sudan


Porti di destinazione

EUROPA

Italia: Venezia, Ravenna

Slovenja: Koper

Croazia: Rijeka, Ploce

Albania: Durazzo


Per finire sempre dal sito ufficiale...


Nata con l'obiettivo di rafforzare il proprio legame con i principali

trasformatori di materie prime di origine agricola, fornendo,

oltre ad un eccellente servizio, anche prezzi competitivi,

ha stretto infatti accordi di fornitura direttamente con grosse

cooperative e realtà produttive oltreoceano (sud americane).

Cereal Docks International ha sede strategicamente a Milano,

principale piazza italiana delle materie prime.


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